martedì 14 settembre 2010

lunedì 13 settembre 2010 – Teatro Vittoria, Torino – Un’ora con Chopin e Schumann - Romain Descharmes, pianoforte



Durante il secolo scorso l’immaginario collettivo si figurava la musica di Chopin – o, perlomeno, certa musica di Chopin appannaggio pressoché esclusivo di esangui e romantiche fanciulle che, preferibilmente al chiaro di luna, sospiravano sui tasti di un pianoforte esasperando gli effetti espressivi ed il rubato del compositore polacco. 
Fortunatamente il tempo ha dimostrato l’infondatezza di tale stucchevole immagine, lasciando spazio a letture più verosimili volte a sottolineare, oltre agli aspetti più tipicamente romantici e struggenti, la grande passionalità ed energia della letteratura pianistica chopiniana. 

Romain Descharmes, il giovane e valente pianista che si è esibito ieri al Teatro Vittoria di Torino, ha saputo inserirsi appieno all’interno di tale chiave di lettura, coniugando uno slancio ed un vigore personalissimi con una vena quasi intimistica di sottile, misurata  espressività. Niente patetismi nel Valzer in la bemolle maggiore op.69 n°1, il cui titolo (L’Adieu) e soprattutto gli aneddoti sulla sua genesi  (che vuole Chopin precipitarsi al pianoforte in preda ad un’irresistibile impulso creativo dopo la partenza della – presunta –  amante Maria Wodzinska)  hanno spesso giustificato un’impropria dilatazione del carattere malinconico del tema principale; al quale, peraltro, fa da contraltare un secondo tema dal tratto ben più dinamico e vivace. Il passaggio tra episodi e rimandi tematici avviene senza soluzione di continuità, con un’interpretazione fresca e sicura;  il capriccioso trio è tratteggiato dal pianista Descharmes con grazia ed energia insieme, e quando, nella conclusione del brano, il tema principale ritorna si ha l’impressione che il cerchio, idealmente, si chiuda.   Il Valzer in re bemolle maggiore op.64 n°1, detto anche del Minuto per la brevità, scivola via con rara lucentezza di suono nei virtuosismi in rapida successione di note affidati alla mano destra, saldamente poggiati su un basso vigoroso ma mai invadente; un momento di pausa, di contemplazione all’affacciarsi della seconda idea tematica, più quieta e misurata, ed ecco tornare – quasi senza preavviso poiché il secondo tema non risolve – il primo tema, che precipita in un crescendo culminante in una rapida scala discendente, sulla quale si innesta la cadenza. Nell’appassionante Valzer in do diesis minore op. 64 n°2 Descharmes mostra un fraseggio di ampio respiro che si scioglie nei minuti arabeschi che caratterizzano il tema principale; la struttura del valzer, in forma di rondò, quindi tripartito, apre con una struggente sezione subito sfociante nella  seconda parte - Più mosso -  che racchiude il trascinante tema principale,  per giungere infine alla terza, lenta e quasi cantabile, resa con una trasparenza sonora ricca di grazia. La ripresa delle prime due sezioni, con la prima parte ‘incorniciata’ dal ritorno della seconda in uno schema BAB, chiude il valzer ricomponendo le tensioni in un pianissimo che vale più di mille virtuosismi. Infine il Valzer in sol bemolle maggiore op. 70 n°1: la vivace luminosità del tema introduttivo si stempera in una serena consapevolezza all’affacciarsi della seconda sezione, trattata dall’interprete con sapiente padronanza delle dinamiche, vero tocco di colore del brano. Una vena quasi melanconica si fa strada subito prima della ripresa del tema, per svanire immediatamente al ritorno del primo tema, stavolta perfino giocoso, sicuramente brillante.

La Ballata n°1 in sol minore op. 23, entusiasticamente recensita da Schumann, costituisce un brano di grande suggestione, spesso trattato con un’enfasi esagerata; quanto invece si apprezza un’interpretazione come quella di Descharmes, in cui l’apertura a slanci di pura passione fa da contraltare ad un più intimo carattere di introspezione, quasi meditativo. Quale che fosse l’intento di Chopin, che secondo alcune fonti avrebbe tratto ispirazione dai versi del poeta, suo compatriota, Adam Mickievicz (un’idea tipicamente romantica di fusione fra le arti…), certo è che questa ballata rimane un pezzo emblematico della sua produzione; tecnicamente complessa, impossibile da schematizzare nelle sue continue variazioni e riprese delle due idee tematiche di fondo, semplicemente va vissuta ed apprezzata nelle sue sonorità così evocative, ora potenti, ora trasparenti, ora semplici e pure. Ultimo brano chopiniano in programma, un’altra ballata, la Ballata n° 2 in fa maggiore op. 38. Totalmente diversa dalla precedente, fonda la propria struttura su di un’importante contrasto fra la prima sezione, lenta e tranquilla, direi  rassicurante, ed una seconda parte che si apre su un Presto con fuoco di tutt’altro respiro. Descharmes disegna con precisione i contrasti e rende palpabile la tensione che portano con sé le citazioni ed i rimandi fra i temi, la ripresa quasi incalzante del primo tema nei modi ritmici e agogici del secondo; la chiusa, infine, un Agitato d’impronta differente, si attesta su una citazione sussurrata, breve, del primo tema, ma non nella tonalità principale, fa maggiore, bensì nel modo minore (anche se non, come ci si aspetterebbe, nella relativa minore re: la ballata chiude infatti in la minore, relativa di do maggiore). 

Schumann – Carnaval, scènes mignonnes sur quatre notes op.9 (piccole scene su quattro note).  Schumann compone i ventidue pezzi del Carnaval quando, venticinquenne, dedica una composizione ad una musicista di cui si è invaghito, Ernestine von Fricken, originaria della città di Asch; curiosamente, le quattro note del titolo fanno riferimento proprio a tale città, poiché in notazione tedesca La – Mi bemolle – Do – Si si scrivono, appunto, A – (E)S – C – H . Tali lettere si ritrovano inoltre  all’interno della composizione a formare le Lettres Dansantes dell’omonima  decima sezione; un gioco, insomma, che ben introduce al carattere enigmatico del Carnaval.  Spesso la critica ha scritto che per suonare il Carnaval è necessario un animo ricco di sfumature,  se non addirittura una doppia anima,  poiché la difficoltà non sta nei singoli passaggi, bensì nella resa della composizione nel suo essere;  anime differenti coesistono infatti lungo i ventidue piccoli brani, tutti provvisti di un titolo. Troviamo, per citarne alcuni, Pierrot ed Arlecchino; Paganini e Chopin; Estrella (l’amata Ernestina), Coquette, la graziosa servetta, Chiarina (la piccola Clara Wieck, in futuro moglie di Schumann nonché figlia del suo maestro, lei stessa valente pianista); Pantalone e Colombina; la valse noble e la valse allemande.
Nel  Carnaval convivono le due anime dello stesso Schumann, ovvero Eusebio e Florestano, trasognato l’uno, energico l’altro: Schumann cita se stesso, poiché Eusebius e Florestan sono gli pseudonimi con i quali il compositore si firma nella Neue Zeitschrift für Musik (Nuova Rivista musicale) , il periodico che dirige.  E cita, chiudendo la singolare composizione, anche il vivace clima musicale dell’epoca: la Marcia dei Compagni di Davide contro i Filistei rappresenta il sodalizio dei giovani artisti come Schumann contro la severa critica del tempo, rea di opporsi alle innovazioni musicali ed alle nuove istanze artistiche.
L’assoluta brevità di molti pezzi, la sonorità ora piena, ora rarefatta, il carattere così mutevole delle composizioni l’una nei confronti dell’altra: ostacoli che vengono brillantemente superati da Descharmes, il quale, evidentemente, possiede quelle due anime che sono necessarie ad una convincente interpretazione del piccolo mondo tratteggiato da Schumann nel microcosmo di una vivace festa di Carnevale. 

Ultima chicca: anziché il più scontato Notturno o Sogno d’amore, il pianista ha regalato al pubblico un insolito quanto apprezzato bis: una Sonata di Scarlatti, interpretata con tocco e colore  autenticamente clavicembalistico (IC).

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