lunedì 31 maggio 2010



Pensieri sul tema di Bohème


Mi piaccion quelle cose
che han sì dolce malìa,
che parlano d’amor, di primavere,
di sogni e di chimere,
quelle cose che han nome poesia.


Venerdì 28 maggio 2010, serata al Teatro Regio di Torino: va in scena la “Bohème” di Giacomo Puccini diretta da Gianandrea Noseda, per la regia di Giuseppe Patroni Griffi ripresa da Vittorio Borrelli. Bellissimo l’allestimento, convincenti gli interpreti; Bohème è resa nella sua freschezza, vivacità ed insieme profonda malinconia.
Qualche riflessione sull’opera…
Il romanzo Scènes de la vie de Bohème di Henri Murger, già pièce teatrale - e prima ancora romanzo d’appendice, pubblicato a puntate - fornisce a Puccini il soggetto, magistralmente ridotto drammaturgicamente e sviluppato in libretto da Luigi Illica e Giuseppe Giacosa. Questi ultimi hanno l’accortezza di definire “quadri” (anziché, come d’abitudine, “atti”) le quattro sezioni in cui l’opera è suddivisa; ciò si attiene all’originale di Murger, e sottolinea, nel contempo, la profonda affinità dell’opera con il mondo della pittura, dell’arte, della vita d’artista. Puccini letteralmente dipinge un mondo, un mood, un modo di essere e di intendere la vita e l’amore: qualcosa che egli stesso doveva aver vissuto, quando, studente di Conservatorio a Milano, divideva la stanza (e, verosimilmente, i sogni!! ) con l’amico Mascagni.
I personaggi di Bohème, che si muovono con disinvoltura sullo sfondo delle vivaci atmosfere parigine, sono giovani, poco più che ragazzi; hanno tutti grandi aspirazioni artistiche, sogni di gloria, ma poi ‘tirano a campare’ alla giornata. Rodolfo, il poeta, Marcello, il pittore, Colline, il filosofo, Schaunard, il musicista; essi, seppur fra slanci di poesia e solenni dichiarazioni d’amore, parlano di soldi (pochi), cibo, gelo, affitto da pagare, problemi veri e tangibili del vivere quotidiano. Non sono eroi: Rodolfo, nel III quadro, si tortura perché non riesce a dare alla sua Mimì, malata, un focolare degno di questo nome; eppure egli non trova una soluzione, né peraltro la cerca, non promette in un intrepido slancio “farò qualunque cosa, ruberò, dimostrerò il mio amore per lei sacrificandomi ecc. ecc. “… molto semplicemente: ha paura, non sa che cosa fare.
I ragazzi della Bohème vivono alla giornata, cambiano i loro amori con leggerezza ed allegria (III quadro, Musetta a Marcello:”Fo all’amor con chi mi piace!” - “Ché mi gridi? All’altar non siamo uniti!” ) , rimandano, come bambini, le decisioni scomode, per quanto giudiziose (Mimì e Rodolfo sono consapevoli del fatto che separarsi sia la decisione giusta – III quadro, Mimì: “Lasciarsi conviene” – ma poi decidono di rinviare l’addio alla primavera, perché … è triste star soli d’inverno – III quadro, Mimì e Rodolfo : “Ci lasceremo alla stagion dei fior”). Non c’è misura, né calcolo, ma nemmeno irragionevolezza nel loro modo di vedere le cose: semplicemente la vera protagonista è la giovinezza, che fugge via con il tempo, che va vissuta fino in fondo, senza ripensamenti. Musicalmente essa è mirabilmente connotata grazie ad un tema vivace e dinamico che si propaga rapidamente nelle diverse sezioni d’orchestra ogniqualvolta le circostanze richiedano un rimando alla spensieratezza, alla joie de vivre tipicamente bohémienne.
Lo stesso principio anima il delizioso valzer di Musetta, musica di scena, cioè vero e proprio canto che la giovane “sirena“(parole di Marcello stesso!) intona, durante l’azione scenica, per sedurre il suo uomo; Marcello, novello Ulisse, tenta un’eroica quanto vana resistenza (“Legatemi alla seggiola!” , Marcello, quadro II) ma alla fine riprende la melodia cantata dalla ragazza, sostenuto dalla piena sonorità in orchestra. Le sue parole: “Gioventù mia, tu non sei morta!” sono l’emblema, il manifesto del sentire dei protagonisti: la giovinezza e l’amore sono legati a doppio filo, tutto scorre rapido e incalzante, bisogna essere pronti a cogliere le opportunità che la vita offre.
A questo proposito, è interessante notare che nel I quadro Mimì e Rodolfo sono preda di un vero e proprio coup de foudre, un colpo di fulmine; eppure ciò è vero soltanto in parte, poiché a mio avviso i due ragazzi si innamorano così prontamente perché si trovano nella giusta disposizione d’animo, perché lo vogliono con tutte le proprie forze. Rodolfo, in quanto poeta, desidera un amore che incarni lo spirito romantico e gli permetta di dare una direzione, un senso reale alle “rime ed inni d’amore” che egli “sciala da gran signore” (Rodolfo, quadro I): in Mimì finalmente scorge “quel sogno che vorrei sempre sognar” (Rodolfo, quadro I); Mimì, creatura saggia, di buon senso, ma allo stesso tempo malinconica e sognatrice, ama “[…] quelle cose che han sì dolce malìa, che parlano d’amor, di primavere, di sogni e di chimere, quelle cose che han nome poesia” (Mimì, quadro I). E chi meglio di un poeta può realizzare il suo sogno di essere amata di un amore da romanzo? Poco importa che si tratti di un giovane squattrinato, quando invece essa potrebbe trovare un amante ricco che la circondi di lusso e… caminetti accesi (quello che Rodolfo divide con gi amici bohémiens, perennemente sprovvisti di legna da ardere, “ […] vive in ozio come un gran signore” - Rodolfo, quadro I): nel toccante finale dell’opera Mimì, che nel frattempo aveva davvero lasciato il suo Rodolfo per un ricco - ma non meglio definito - Visconte, torna a morire nella soffitta che era stata teatro del loro primo incontro.
Sentendo prossima la fine, la ragazza desidera soltanto che Rodolfo la stringa tra le braccia: e quella soffitta, così fredda, disadorna e squallida, grazie al calore degli affetti si trasforma ad un tratto un accogliente nido per la “rondine” che, tornata, “cinguetta” (Rodolfo a Mimì, quadro IV). E poi gli amici, presenza costante per dividere gioie e dolori, scambiare battute scherzose quanto gesti di autentica bontà: Musetta vende i propri orecchini per offrire a Mimì medicine e il tanto desiderato manicotto (quadro IV, Mimì: “Se avessi un manicotto! Queste mie mani riscaldare non si potranno mai?” ); Colline sacrifica il vecchio, caro cappotto per racimolare qualche soldo per l’ammalata (Colline, “Vecchia zimarra”, quadro IV). Tutti si prodigano senza risparmio, perfino usando la delicatezza di lasciar soli i due innamorati, circostanza che Mimì desidera ardentemente: “Sono andati? Fingevo di dormire perché volli con te sola restare”(Mimì a Rodolfo, quadro IV) . La struggente melodia che sottolinea le sue parole è come un epitaffio, che si incide nel cuore di chi la ascolta; Mimì ha tante cose da dire a Rodolfo, ma una sola importa, “grande come il mare”: “Sei il mio amore e tutta la mia vita!” (Mimì a Rodolfo, quadro IV). Parole amare, in un momento simile; parole dolcissime, che Mimì scandisce tra i singhiozzi. La giovinezza, l’essenza della vie de bohème, le scivola tra le dita; e mentre piano piano i ricordi del suo primo incontro con Rodolfo – richiamato in orchestra dai temi che lo caratterizzavano nel quadro I - le scorrono davanti, come la più bella poesia che Rodolfo potesse scrivere, gli amici raggelati si accorgono di ciò che lui solo non può, non vuole vedere: Mimì è spirata. Nessuno osa rivelarglielo: egli lo legge nei loro occhi lucidi, nei loro volti impietriti. L’orchestra attacca a tutta forza il motivo che costituisce quasi un lamento funebre per Mimì, punteggiato dalle disperate invocazioni del nome di lei da parte di Rodolfo, mentre gli amici restano immobili e muti, impotenti di fronte a tale dolore; la tragedia è compiuta, Mimì se n’è andata. E la piccola sarta, non personaggio tout court, ma simbolo ed emblema di un modo di essere, porta con sé lo struggimento dei sogni spezzati, della leggerezza che cede il posto al disincanto, dell’ addio alla spensieratezza, che segna definitivamente - ed impietosamente - la fine di un’epoca, il tramonto della giovinezza. (IC)

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