mercoledì 17 novembre 2010

“La santità sconosciuta” V edizione – Associazione culturale Arturo Toscanini, Ivan e Natascia Chiarlo - Domenica 24 ottobre 2010 Abbazia di Staffarda


Uto Ughi,  violino
Alessandro Specchi,  pianoforte

L’Abbazia di Staffarda, magica cornice de ‘La santità sconosciuta – Piemonte terra di Santi’, è diventata ancora una volta teatro di meraviglie grazie alle note del violino di Uto Ughi. 
Accompagnato al pianoforte da Alessandro Specchi, Ughi propone  un programma ricco di spunti; dialogando con il  pubblico, prima a voce e quindi con il suo magnifico violino, Ughi spiega ed introduce i pezzi con estrema semplicità ed accessibilità di termini, facendo seguire parole e suoni in un ideale armonico di serena condivisione dell’esperienza musicale, senza divismo né sfoggio di eloquenza, ma con fluidità e grande chiarezza. 

Il concerto si apre con la Sonata in Sol minore di Tartini “Il Trillo del Diavolo” (violino e basso continuo) . Il titolo, com’è noto, si deve allo stesso Tartini, che nel 1713 affermò di aver trascritto una musica particolare e sublime suonata per lui, in sogno, dal demonio in persona. Secondo il racconto di Tartini la versione da lui fissata sullo spartito non riuscì minimamente ad eguagliare la diabolica esecuzione; Tartini, quasi novello Faust, pare quasi aver sperimentato la possibilità di un patto con il diavolo, patto avente, com’è ovvio, in contropartita l’inarrivabilità di un’esecuzione violinistica… La Sonata in Sol minore ha infatti fama di pezzo quanto mai virtuosistico e tecnicamente impegnativo.
La presenza del trillo, cifra della composizione, completa la spiegazione del titolo del brano, che si presenta in 4 tempi (Larghetto affettuoso, Allegro Energico (tempo giusto), Grave (Andante), Allegro assai). Il primo tempo, che costituisce il cardine della composizione, si presenta intensamente espressivo fin dalle celebri battute d’attacco del violino; il pianoforte ora è disposto a svanire, ora si affaccia prepotentemente, in un continuo dialogo in cui le parti sembrano chiamarsi a vicenda. L’eredità della scuola veneziana riecheggia, senza però costituire pesante strascico; i movimenti lenti hanno una cifra di lirismo e passionalità quasi romantica, di ampio respiro, ed il virtuosismo estremo dell’invenzione tecnica affidata al violino non risulta mai fine a se stesso.
Inutile dire che il Trillo di Uto Ughi si ricorda per la sua intensa, personalissima interpretazione: inarrivabile la padronanza del suono, ora scurissimo, carico, vibrante, ora improvvisamente  etereo, di luminosa trasparenza nella tessitura acuta. Perfino il diavolo si sarebbe arreso in presenza di un’esecuzione tanto intensa quanto tecnicamente ineccepibile…

Secondo brano in programma, la Sonata n°8 in Sol maggiore op. 30 di Ludwig van Beethoven.  Tripartita, secondo il consueto schema della forma-sonata, si compone dei tempi Allegro assai – Tempo di minuetto, ma molto moderato e grazioso – Allegro vivace.  
In questa sonata Beethoven riscopre un tipo di scrittura lineare, chiaro e quasi intimista, abbandonando per una volta la sperimentazione espressiva e raggiungendo un carattere di lirismo pacato, alleggerito da tocchi di gioiosa spensieratezza. Il primo movimento, Allegro vivace, introduce uno slancio tematico ed espressivo che si scioglie armoniosamente nella delicata malinconia del Tempo di minuetto del secondo movimento;  il terzo movimento, che si snoda fluido e lineare, chiude il cerchio riprendendo il tema principale, fiorito di abbellimenti che conferiscono un tocco di vivace espressività. L’esecuzione di Ughi mette in luce i diversi aspetti di questa sonata, che occupa una posizione rilevante all’interno della produzione beethoveniana, creando un filo sottile che ci conduce senza soluzione di continuità attraverso i diversi sentieri tematici ed espressivi. Il pianoforte di Alessandro Specchi funge da ideale, intelligente contrappunto, enfatizzando e tenendo ben saldi i momenti di slancio del violino e sottilmente ‘sparendo’ nei delicati pianissimo del secondo movimento.

Il concerto prosegue con un cambio. Anziché la Suite italiana di Igor Stravinskij segnalata nel programma di sala viene proposto un brano di Camille Saint-Saëns, Introduzione e Rondò Capriccioso. Prima l’Introduzione, un pezzo quasi mistico, meditativo, con guizzi di luminosa vivacità subito stemperati nello struggimento; eleganza di fraseggio, interpretazione quasi elegiaca, in una comune ricerca, da parte di entrambi i musicisti, del suono più intensamente adatto ad esprimere un ideale. Poi il Rondò, energico, quasi spagnoleggiante, fondato su di una ritmica totalmente differente rispetto all’Introduzione ma non per questo estraneo: è come se le due parti del brano ne costituissero le altrettante anime, ora simili, ora sfuggenti l’una per l’altra, proprio come le note di un violino e di un pianoforte che si  inseguono, si completano, si cercano a vicenda, senza mai però tradire se stessi.  

Il violino diventa ora protagonista assoluto con la Paganiniana, ovvero un’antologia di opere di Niccolò Paganini. Celeberrimo violinista, massimo innovatore della tecnica del suo strumento, Paganini coniuga, come nessuno mai in precedenza, fantasia, virtuosismo, vivacità espressiva; i suoi Capricci, com’è noto, costituiscono per un violinista il più alto livello, mai superato in analoghe composizioni, di difficoltà tecnica.  Il violino raggiunge con i Capricci di Paganini una dimensione quasi di voce umana, fino a trascendere la natura dello strumento; la Paganiniana inizia con il celebre tema del 24esimo Capriccio (Brahms, Rachmaninov ne scrissero variazioni per pianoforte). Non può ovviamente mancare la Campanella, celeberrimo brano che trae il titolo dallo scherzoso dialogo tra il violino ed un suono di ‘campanella’ in orchestra (prodotto da uno strumento a percussione, generalmente lo xilofono). 

Ultimo brano in programma (prima dei richiestissimi bis!!) la Polonaise (Polacca) in La op. 21 di un compositore e violinista polacco, H. Wieniawski, considerato il “Paganini della Polonia”. Forse non così noto al grande pubblico, Wieniawski  è considerato affine a Chopin per lo struggimento, la malinconia coniugata alla grande passionalità; l’uno nel pianoforte, l’altro nel violino, hanno saputo entrambi conferire alle proprie composizioni il carattere tipicamente slavo, struggente, che da sempre è cifra stilistica delle Polacche. Se infatti Wienawski è accostato a Paganini, tale paragone trascende sempre il carattere, il sentimento delle composizioni, per attestarsi sul grande virtuosismo che li accomuna; più mediterraneo, solare Paganini, sentimentale e tormentato il polacco.  Così, nella Polacca proposta da Uto Ughi ed Alessandro Specchi, il violino ora sale nella tessitura acutissima con sorprendente lucentezza, ora esplora i toni più bassi della gamma portando con sé lo struggimento e la passione, il fuoco dei sentimenti più intensi. Il pianoforte aggiunge pathos alla voce del violino, via via insistendo con drammatica tensione oppure sciogliendo in un solo gesto le inquietudini della melodia. Nessun esibizionismo, nessuno sfoggio di sterile virtuosismo: la musica è semplicemente gioiosa, assoluta protagonista, e come tale viene vissuta dai musicisti e dal loro estasiato pubblico. 

Il finale della serata è affidato a due bis, tanto diversi quanto apprezzati dai presenti. Il primo, La ridda dei folletti di Antonio Bazzini, racchiude nel titolo l’immagine più evocativa del contenuto musicale del brano. Sulle corde del violino si agitano, danzano, saltano capricciosi ed inquieti folletti, qui scherzosamente dispettosi, là diabolicamente sornioni: il pianoforte sembra rincorrerli, inseguirli nella  sottile tessitura acuta, mentre le cascatelle precipitose del violino li nascondono alla vista, sciogliendosi in una  dolce ninna-nanna che finalmente acquieta la ‘ridda’… per risalire quindi con slancio inatteso al culmine finale, che chiude il brano con una vivace cadenza quasi in tempo di danza. Il virtuosismo del brano richiama il tratto di Paganini, con cui si dice Bazzini avesse  studiato…un’ipotesi che contrasta con la tradizione, che vuole Paganini uno dei pochi musicisti a non aver avuto alcun allievo.  

Ultimo bis, un famosissimo brano del compositore boemo Antonin Dvořák,  l'Humoresque  in Sol bemolle maggiore op. 101 n°7.  In questo brano, conosciutissimo ed arrangiato per vari ensemble di strumenti, due idee tematiche apparentemente di stampo opposto si intrecciano: il violino apre con un inizio arioso, di carattere giocoso e dolcemente saltellante, che poi si fa via via più appassionato e si stempera in toni quasi patetici, riprendendo dapprima il tema di apertura per scendere poi nella tessitura più bassa. Qui i toni si fanno addirittura romantici, lirici, di ampio respiro; tutto cambia, eppure nulla è cambiato, abbiamo l'impressione di vedere semplicemente il rovescio della medaglia. Una modulazione al tono minore conduce al climax della composizione, in cui violino e pianoforte stemperano la passione che sale per affievolirsi infine, a poco a poco, nel ritorno della prima idea tematica, che chiude la composizione in un perfetto discorso ciclico. 

Al termine dell’applauditissimo concerto, che è sembrato volare in un soffio, Uto Ughi prende la parola per unire ai ringraziamenti qualche parola sui ‘tagli’ che ormai in Italia sono tristemente associati alla cultura. "Viviamo in un periodo difficile per la musica; studi e sacrifici dei giovani musicisti vengono spesso vanificati da un sistema che pare quasi voler cancellare la musica, che invece dovrebbe ricoprire un ruolo centrale di valore educativo importantissimo".  Le parole di Ughi fanno riflettere su una situazione nota eppure spesso dimenticata, che invece di valorizzare i talenti appiattisce in una desolante (e forse rassicurante) mediocrità…perché il lavoro, la volontà di emergere, lo spirito di sacrificio sembrano quasi essere penalizzanti a fronte di una cultura del “tutto e subito” all’insegna del pressapochismo. 
Ben vengano, quindi, iniziative come quelle dei maestri Ivan e Natascia Chiarlo, che sanno valorizzare tramite l’Associazione Toscanini un territorio forse ‘piccolo’ ma in grado di accogliere grandi nomi della musica all’insegna della cultura e della condivisione dell’esperienza non soltanto musicale ma anche umana (IC).

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